Ricordi tristi e civili 2001
In “Ricordi tristi e civili” Garboli raccoglie, e rilega con una prefazione al lettore e brani inediti, riflessioni di anni lontani, nate a caldo tra il 1972 e il 1998 su casi diversi della nostra vita nazionale: accadimenti politici (come l’assassinio di Aldo Moro) o di cronaca (quali il suicidio di Ra ul Gardim e Gabriele Cagliari), episodi
di Moria civile c sociale (ad es. le vicissitudini di Serena Cruz).
Per chi ha letto di volta in volta sul nascere a lcuni di questi articoli, all’emozione prova ta allora per la loro immediata e sorprendente intelligenza dei fatti considerati, si aggiunge ora l’ammirato stupore per l’inatteso rempismo di un libro che richiama ai grandi interrogativi morali.
Con il repechage, quella che era sta ta una straordinaria lucidità di intervento sugli avvenimenti di ieri diventa, per vecchi e nuovi lettori, penetrante illuminazione dell’oggi nelle sue recenti radici. La dimensione di ‘archeologia del presente’ che i saggi assumono nella coerenza del volume, non è l’effetto della riproposta a distanza, ma il segno della capacità di Garboli di cogliere tanto in profondità, sul momento, il significato degli eventi, da riuscire a inquadrarli in una prospettica che va oltre il contingente e a cui il tempo viene a dare ragione.
Raccontare e commentare coincidono sempre, in Garboli, con il suo costante tendere a un’interpretazione che affonda lo sguardo nell’attualità, per spogliarla della sua veste accidentale e fissarne il posto occupato nella catena della storia, senza concessioni di sorta a lla superficialità descrittiva o aneddotica. I decenni oscuri che la chiamata a raccolta dei ricordi personali ripercorre, in particolare dal delitto di Aldo Moro, contengono le tappe di un’autobiografia generazionale, collettiva, a lla cui ricostruzioni Garboli presta, di suo, la prontezza della propria memoria e l’indefettibile fedeltà ad un atteggiamento di vigilanza civile. Il senso di spaesamento personale che discende dal suo stesso bilancio, lungi dal poter essere equivocato come snobisrico disconoscimento
di appartenenza al proprio paese, è ‘tristezza’ per la gravità delle prove che un’identità nazionale fortemente sentita ha dovuto sperare, nell’obbiettiva delusione per molte promesse inadempiute.
L’unica, vera distanza che Garboli si prende è quella dalla logica del potere e dal mestiere della politica, da cui lo separano l’ottica ‘diversa’, ‘impolitica’, e il disagio di cittadino impegnato a capire vicende che lo riguardano. Dopo aver messo ripetutamente a soqquadro i vari settori del sapere attraversati con la sua originalità controcorrente, in una biografia intellettuale che ha costretto ad acroba tiche definizioni della sua complessa eccentricità, difficile da classificare, Garboli ci spiazza ancora una volta con un inaspettato esempio di competenza fuori dagli ambiti di lavoro a lui
propri, suscitando in noi lo stesso interesse suscitato in lui dalla Ginzburg per l’acuta comprensione “dei fatti politici da parte di un’ interlocurrice non politica”: dall’altrove delle sue specificità professionali, fornisce, nel campo a lui estraneo e lontano della politica, una lezione di passione civile e di ricerca delle verità occultate, alzando molti veli su molti misfatti e vergogne, per individuare “la testa del polipo”.
E si fa storico d’eccezione usando nell’osservazione dei fatti di cronaca gli stessi strumenti impiegati come critico nell’osservazione dei fatti letterari. Dalla serrata attenzione alle componenti dei fenomeni politici, come già a quelli della vita di un singolo scrittore, e con immutato spirito di ‘servizio’ ad essi, Garboli ci consegna diagnosi folgoranti e straordinariamente fuori dal coro, solitarie.
Giorgio Boatti
Preferirei di no
“Giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successon e al Regime Fasc1sta, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l’ufficio di insegnanre ed adempiere turri i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla patna e al Regime fascista. Giuro che non appartengo né apparterrò ad associazioni o partiti la cui attività non SI concilii con i doveri del mio ufficiO”.
Con questa formula, 1’8 ottobre 1931 Mussilini impose a rutti i professori universitari il giuramento di fedeltà al fascismo e al suo regime: su 1250, dodici, solo dodici, si rifiutarono perdendo la cattedra.
“Preferirei di no”, di Giorgio Boatti, Editore Emaudi, ripercorre “con patienza, rigore e affetto”, il loro tragitto umano e intellettuale: “dodici isolati viaggiatori che possono ancora insegnarci l’arte di attraversare il vento del “no”.