Necropoli 2008
Col romanzo Necropoli, Boris Pahor racconta la propria esperienza di detenuto politico nei lager nazisti, rivissuta durante una visita compiuta a distanza di anni in quello stesso campo francese – tra le colline dei Vosgi, digradanti in terrazzamenti verso il fondovalle, come un inferno dantesco – in cui trascorse parte della sua prigionia. Triestino di madrelingua slovena e membro del Fronte di Liberazione, Boris Pahor venne infatti arrestato per la delazione di un collaborazionista e destinato ai lavori forzati, passando da un lager all’altro: Dachau, Natzweiler-Struthof sui Vosgi, Dora Mittelbau – dove gli internati dovevano costruire i missili V2 -, Harzungen, Bergen Belsen. Conoscendo le lingue, venne addestrato da un medico a prestare la sua opera in qualità di infermiere, dato che nel lager di Dora Mittelbau molti membri del personale paramedico, accusati di complicità con i numerosi sabotaggi che vi avvenivano, erano stati eliminati.
Scavando nei ricordi, Boris Pahor fa emergere i minimi dettagli dell’orrore quotidiano, la logorante stanchezza dei corpi storditi dalla fame e dalla dissenteria, l’abitudine a censurare pensieri o desideri, la vergogna della propria sopravvivenza. Pagine di raccapricciante grandezza nella loro sobrietà, che penetrano nel lettore come una lama.
Il premio “Della Resistenza – Città di Omegna” viene dunque conferito a Necropoli perché con la sua scrittura asciutta e atrocemente limpida, spesa in difesa della dignità della persona, Boris Pahor dimostra che la narrativa contemporanea può ancora essere una decisa presa di posizione contro ogni forma di totalitarismo.
Premio Scaffale
Uwe Timm per “L’amico e lo straniero” – Mondadori
La morte di Benno Ohnesorg ucciso dalla polizia durante una manifestazione contro lo Scià di Persia, davanti all’opera di Berlino Ovest il 2 giugno 1967 viene considerata unanimemente come punto di partenza della radicalizzazione del movimento studentesco tedesco la cui forma estrema fu poi la Rote Armee Fraktion, più nota oggi come gruppo Baader-Meinhof. L’autore del romanzo, Uwe Timm, e Ohnesorg erano amici, compagni di studi cresciuti insieme sulla strada di un’iniziazione artistica e filosofica e soprattutto umana, ma all’epoca dell’uccisione di Ohnesorg si erano già persi di vista. La storia dei due ragazzi è tutta a monte degli Anni Settanta ma al centro del libro non c’è tanto la ricostruzione dei fatti quanto il problema dell’onestà del ricordo. Uwe Timm si pone costantemente il problema di smascherare le contraffazioni della memoria dovute a tutte le varietà del vizio ideologico, in particolare l’indifférence di Camus che ha così cinicamente segnato il loro percorso. L’indagine, che alterna la ricerca concreta a quella interna sulle difese dell’anima, fa perno sulla morte dell’amico e produce un preciso esame dello sviluppo personale e generazionale: «i morti ci ricordano le nostre mancanze, i nostri errori, i nostri fallimenti. Sono loro i nostri antagonisti interni», scrive Uwe Timm, che facendo riaffiorare e riascoltando la voce dell’amico porta alle estreme conseguenze la sua ricerca di un “vero generazionale” che non è assoluto ma è storicamente determinato. Ed è proprio l’onestà radicale e ostinata della scrittura di questo autore che ci ha spinto ad assegnare al libro il Premio Scaffale del Premio Letterario “Della Resistenza” Città di Omegna 2008.
B. Gutterman. M.Pezzetti per “Album Auschwitz” – Einaudi
Il libro iconografico Album Auschwitz contiene le foto che i nazisti scattarono nel giugno 1944 a un gruppo di ebrei ungheresi deportati in quel campo di concentramento, prima del “processo di selezione” che condurrà la maggior parte di loro alla morte. A fissare sui volti spaventati di uomini, donne e bambini il momento di tragica svolta della loro vita è dunque lo sguardo degli addetti all’ufficio identificazioni, nell’esercizio del loro servizio di macabra accoglienza. L’eccezionale raccolta di tali istantanee, nascosta dagli esecutori, poi reperita nell’infermeria del campo, il giorno dell’arrivo dei russi, e fortunosamente salvata dalla deportata e sopravvissuta Lili Jacob, giunge a noi ad opera della stessa Lili, che ne ha curato, insieme ad altri, la conoscenza, riuscendo addirittura a togliere dall’anonimato quei volti e a recuperare per tutti nome e identità.
La giuria ha assegnato il Premio Scaffale a questo eccezionale documento per l’eloquenza muta e intensa con cui le immagini ci pongono ‘davanti al dolore degli altri’- a voler definire l’assenza di parole con quelle di un titolo di Susan Sontag, entrata nell’albo d’oro del nostro Premio-. Con l’insieme di facce ritratte nella loro impotente paura, ignare di essere prossime alla distruzione delle loro varie vite, il libro ci mette di fronte a “occhi che ci pregano di dare loro una risposta…”: sono loro a guardare noi e interrogarci con sgomento sulla tragedia della Shoah. L’Album ora ripubblicato ci dice, con la sua storia, che la verità può riemergere (il documento “è stato utilizzato come prova giudiziaria nel processo di Francoforte”del 1963 contro 20 criminali nazisti); la tenacia di Lili nel tutelarla ci insegna il valore dell’impegno che solo può disseppellirla, per restituire alle vittime giustizia e non uccidere mai la pietà.
Kenzaburo Oe per “Note su Hiroshima” – Alet
Avviati nel 1940, i bombardamenti aerei sistematici sulle città si susseguirono in una catena di azioni e reazioni che sfociò in un’ondata distruttrice e, per le popolazioni civili, letteralmente apocalittica. Tale catena di stragi si concluse il 6 agosto 1945 con la distruzione atomica di Hiroshima e Nagasaki, caratterizzata quest’ultima non solo dall’enorme potenza distruttiva degli ordigni impiegati, ma soprattutto da una scia di sofferenza e di morte che si prolunga per molti anni dopo l’esplosione.
Diciotto anni dopo, nel 1963, Oe si recò per la prima volta a Hiroshima. Rimase sconvolto dall’incontro con i sopravvissuti. L’eroismo quotidiano di questi uomini, il loro rifiuto di soccombere alla tentazione del suicidio, il loro resistere per testimoniare, diviene, nelle pagine di Oe, l’immagine stessa dell’affermazione della dignità umana, tratteggiata con un linguaggio e uno stile asciutto ed essenziale.
Oe fa dei sopravvissuti di Hiroshima, ritratti attraverso alcune indimenticabili figure, il simbolo di un Giappone liberato dalla follia distruttrice, un monito vivente per tutta l’umanità. Oe analizza le implicazioni morali e politiche del bombardamento nucleare e ci consegna il ritratto di una città devastata. Innalza un monumento alla memoria e lancia un severo appello alle nostre coscienze.
La Giuria del Premio Omegna assegnando a questo libro il Premio Scaffale intende affermare che la lettura degli scritti di Oe, se pure raccolti e pubblicati nel lontano 1965, è ancora oggi di grande impatto emotivo. Un ringraziamento va alla casa editrice ALET che ha deciso di proporre questi testi al pubblico italiano. La Giuria ritiene che soprattutto i giovani da queste pagine potranno trarre utili spunti di riflessione non solo sulle tragiche conseguenze dell’uso della bomba atomica, ma anche sulla meno vistosa, ma altrettanto tragica, scia di dolore e morte causata dagli incidenti nucleari e dall’uso diffuso di materiali radioattivi in armamenti “convenzionali”.